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Perfezionismo e odio per sé stessi
A prima vista, il perfezionista sembra l’emblema del successo: sempre puntuale, sempre impeccabile, sempre un passo avanti. È la persona che tutti vorrebbero nel proprio team, quella che non sbaglia mai, che produce risultati eccellenti, che fa sembrare facile anche l’impossibile. Ma guardando più da vicino, qualcosa si incrina: dietro quella dedizione totale, spesso si nasconde una voce interiore che ripete ossessivamente “non vali abbastanza”.
Il perfezionismo, infatti, non nasce dalla passione per l’eccellenza. Nasce dalla paura. Dalla paura di deludere, di non essere amati, di non essere mai all’altezza. È figlio di un’infanzia in cui l’amore era condizionato ai risultati, all’obbedienza, alla performance. In cui bastava un errore, un brutto voto o una parola sbagliata per sentirsi un fallimento. Così impariamo a correre, produrre, migliorare… ma non per gioia. Per sopravvivere. Il perfezionismo non è forza: è una strategia di sopravvivenza travestita da virtù.
Il risultato? Una vita interamente costruita sull’ansia di dimostrare il proprio valore. Ogni progetto è una prova. Ogni pausa è una colpa. Ogni “non perfetto” è un crollo interno. E anche quando arrivano i complimenti, le promozioni, i riconoscimenti… non basta mai. Perché quel senso di inadeguatezza non si calma con l’approvazione degli altri. Perché il vuoto da colmare è affettivo, non professionale.
Guarire significa interrompere il referendum quotidiano sul nostro valore. Significa smettere di affidarci al lavoro per sentirci degni. Meritiamo di esistere anche quando non produciamo. Anche quando sbagliamo. Anche quando ci fermiamo. Il riposo non è un tradimento. È un atto di fiducia. È il segnale che stiamo imparando a trattarci con più umanità.
E ogni volta che ci concediamo di non essere perfetti, stiamo dicendo a noi stessi: “Non ho bisogno di vincere per meritare amore”.
Pillole chiave della riflessione di oggi:
Il perfezionismo spesso nasce da un profondo senso di inadeguatezza.
Dietro la disciplina c’è spesso il timore di non valere abbastanza.
Il lavoro diventa un modo per guadagnarsi l’accettazione che non si è ricevuta da piccoli.
Ogni traguardo raggiunto sembra non bastare mai: non porta vera pace.
La nostra ambizione può essere una risposta al rifiuto, non un desiderio autentico.
Guarire significa smettere di basare il proprio valore sulle prestazioni.
Concedersi il riposo è un atto di gentilezza verso di sé, non di debolezza.
Non dobbiamo dimostrare ogni giorno di meritare di esistere.
Domanda su cui riflettere oggi:
Sto cercando l’approvazione… o sto solo chiedendo, in silenzio, di essere amato per quello che sono davvero?
Non devo essere perfetto per meritare rispetto. Merito spazio, cura e respiro, anche senza dimostrare nulla.
*Questo contenuto fa parte della piattaforma Thatsos, uno spazio pensato per aiutarti a crescere, guarire, capirti davvero e stare meglio. Dentro la piattaforma troverai percorsi per esplorare le tue emozioni dall’ansia alla rabbia, tecniche per gestirle, articoli che ti faranno riflettere e un diario dove scrivere liberamente ciò che provi e come ti senti.