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Abbiamo bisogno di prospettiva
Giorno 7 del Percorso Sos.
In realtà, ovviamente, la Torre Eiffel è gigantesca: 324 metri fino alla punta del pennone, abbastanza da far sembrare minuscola anche la persona più alta. Ma a seconda di dove ci troviamo, le proporzioni possono essere completamente ribaltate: l’imponente e robusta torre può apparire fragile e piccola come un giocattolo, mentre una persona può sembrare un gigante capace di attraversare il centro di Parigi con le sue scarpe numero 4.486.
I bizzarri giochi di prospettiva che possiamo creare in una foto svelano qualcosa di profondo sul funzionamento del nostro cervello: tendiamo istintivamente a ingigantire tutto ciò che ci è vicino. Ma il vero problema non riguarda la vista, bensì un aspetto molto più difficile da individuare: la nostra vita emotiva.
Un dolore, una paura, una preoccupazione o un rimpianto che ci assillano nel presente tendono a occupare ogni angolo della nostra mente, soffocando qualsiasi spazio per il riposo o la speranza. Le cose che potrebbero darci conforto si allontanano sullo sfondo, diventando quasi irrilevanti.
Se potessimo scattare una foto del nostro stato interiore, la nostra angoscia apparirebbe come un gigante minaccioso, mentre gli elementi che danno stabilità e valore alla nostra vita – un’amicizia sincera, una competenza, l’esperienza di aver già superato molte difficoltà – sembrerebbero svaniti nel nulla.
Quando si tratta della visione, l’umanità ha impiegato molto tempo per comprendere e padroneggiare le tecniche della prospettiva corretta. Nelle affascinanti illustrazioni che accompagnavano il libro di grande successo dei primi anni del 1300, i racconti di viaggio di Marco Polo in Cina, possiamo vedere chiaramente le difficoltà dell’artista nel rappresentare le reali dimensioni delle cose.
Una torre poteva apparire grande quanto un funzionario in abiti ufficiali, mentre un albero poteva sovrastare un castello. Per gli artisti è stato necessario un lungo e complesso percorso di apprendimento per riuscire a raffigurare il mondo materiale con maggiore precisione.
Nel primo Quattrocento, ad esempio, l’architetto e scultore italiano Filippo Brunelleschi ideò esercizi specifici per migliorare le sue capacità nella rappresentazione prospettica. Con il tempo, lui e molti altri svilupparono una straordinaria padronanza di questa nuova scienza della prospettiva visiva.
Già nel Seicento, esistevano manuali chiari e accessibili che permettevano a chiunque lo desiderasse di diventare, con relativa facilità, piuttosto abile in quella che un tempo sembrava un’impresa quasi impossibile.
Il problema è che non abbiamo ancora sviluppato tecniche altrettanto efficaci per affrontare un aspetto ben più urgente e personale: la distorsione delle proporzioni nella nostra prospettiva emotiva.
Il manuale ideale per sviluppare questa abilità potrebbe proporre quattro esercizi fondamentali.
Il primo consiste semplicemente nel riconoscere che il problema esiste: dobbiamo ammettere che la nostra percezione delle dimensioni di una questione emotiva può essere facilmente ingannevole. Questo passaggio è sorprendentemente difficile, perché nei momenti di preoccupazione siamo convinti che la nostra ansia sia perfettamente proporzionata alla situazione. Ci diciamo che il problema è esattamente tanto terribile quanto ci appare.
Ed è qui che dobbiamo attingere ai nostri ricordi. Sappiamo che in passato abbiamo ingigantito la gravità di un problema: ci siamo lasciati travolgere dalla rabbia o siamo caduti in uno stato di abbattimento per qualcosa che, col senno di poi, non era poi così drammatico. Possiamo usare questi ricordi per calmarci quando ci sembra – di nuovo, e stavolta davvero – che il mondo stia crollando.
Anche se non sappiamo esattamente perché le cose non dovrebbero andare male, l’esperienza ci suggerisce che probabilmente non sarà così. Possiamo imparare a diffidare della sicurezza assoluta che accompagna il nostro panico.
Un secondo esercizio consiste nel cercare di ampliare il più possibile il nostro campo visivo immaginativo. Per farlo, possiamo prendere come riferimento un evento grandioso, come la Grande Cometa che, tra la fine di ottobre 1577 e gennaio 1578, solcò il cielo notturno con una scia luminosa straordinaria, visibile in tutto il mondo, dal Perù alla Cina.
La Grande Cometa passò sopra il Bosforo, a Istanbul, e poi scomparve. All’epoca, molti la interpretarono come un presagio di distruzione imminente o come il segno dell’inizio di una nuova epoca straordinaria della storia del mondo. Ma in realtà non significava nulla di tutto ciò. Oggi sappiamo che si trattava semplicemente di un blocco di ghiaccio e roccia in un’orbita eccentrica che, per un breve periodo, l’aveva portato vicino alla Terra. Ora si trova oltre l’orbita di Nettuno, dirigendosi verso le solitudini estreme ai confini del Sistema Solare, e non tornerà mai più.
Le nostre emozioni intense sono come quella cometa: si accendono improvvisamente, sembrano avere un significato enorme, e poi svaniscono. Su scala cosmica, sono solo minuscoli puntini e attimi fugaci. Non hanno l’importanza travolgente che gli attribuiamo e, prima o poi, si dissolvono.
*Articolo estratto dalla futura piattaforma di Thatsos, Koko+
Il panico che provi adesso non durerà per sempre. E ciò che ora sembra enorme presto svanirà.