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Se una paura non è un fatto, allora cos’è?
Giorno 3 del Percorso Sos.
A volte, quando chi soffre di ansia estrema si trova in un periodo particolarmente intenso di panico, un amico premuroso potrebbe sussurrarci una frase ormai nota: una paura non è un fatto.
Queste poche parole, cariche di saggezza, possono scuoterci e aiutarci a ritrovare un po’ di lucidità. Grazie a questo piccolo intervento, iniziamo a distinguere ciò che è realmente vero da ciò che sembra vero, ciò che sta accadendo nel mondo da ciò che sta accadendo nella nostra mente. La catastrofe che immaginiamo potrebbe essere più un’ombra dentro di noi che un disastro concreto nel mondo reale.
Eppure, resta una domanda: se una paura non è un fatto, allora cos’è? Perché è così prepotentemente presente nella nostra testa? E soprattutto, perché riesce a rovinarci la vita?
Le paure che non se ne vanno, quelle sproporzionate, opprimenti e totalizzanti, sono spesso ciò che possiamo chiamare paure ombra. Sono echi di spaventi vissuti molto tempo fa, che si proiettano su ampie e ingiuste porzioni della nostra vita adulta. Al loro interno custodiscono il seme di un’esperienza dolorosa dell’infanzia che non è mai stata davvero esplorata, capita, sentita fino in fondo, elaborata e infine lasciata andare. Questo accade in parte perché non abbiamo mai avuto il supporto necessario per indagare davvero la nostra mente, e in parte perché, inconsciamente, rimaniamo fedeli a chi si è preso cura di noi, preferendo continuare a pensarne bene piuttosto che mettere in discussione il passato.
Ma come possiamo risalire alle nostre paure originali? Il modo migliore per scoprirle è osservare attentamente di cosa abbiamo paura oggi. Le tracce di ciò che ci è accaduto tanto tempo fa sono nascoste proprio nella struttura delle nostre ansie attuali.
Immaginiamo di vivere con la costante paura di aver fatto qualcosa di sbagliato sul lavoro e di essere puniti ed esclusi. Oppure di essere respinti dal nostro gruppo sociale. O ancora, di aver fatto un passo verso qualcuno e di venire accolti con rabbia e disgusto.
La mente, per sua natura, non è portata a mettere in discussione le proprie paure in modo terapeutico; tende semplicemente a trattarle come se fossero fatti concreti. Ma abbiamo il diritto di dire basta a queste conclusioni affrettate e di insegnarle a essere un’analista più paziente delle sue ansie.
*Articolo estratto dalla futura piattaforma di Thatsos, Koko+
Usa questa tecnica: Distinguere le preoccupazioni utili da quelle inutili
Quando l’ansia si fa sentire, tendiamo automaticamente a credere che ogni preoccupazione sia legittima. Ma lo è davvero?
Alcune ansie sono utili perché ci spingono ad agire, mentre altre sono solo pesi inutili che ci trasciniamo senza motivo. Possiamo dividerle così:
Preoccupazioni utili → quando possiamo fare qualcosa per risolvere subito il problema.
Preoccupazioni inutili → quando non possiamo fare nulla per cambiarlo.
Riesci a capire quali sono le tue?
Per riconoscere una preoccupazione utile, poniti questa domanda:
“Posso fare qualcosa, qui e ora, per risolvere il problema?”
Se la risposta è sì, trasforma l’ansia in azione con questa formula:
“Sono preoccupato per X, quindi farò Y.”
Se la risposta è no, significa che la preoccupazione è inutile e sta solo consumando le tue energie senza portarti alcun beneficio.
Ovviamente, le preoccupazioni inutili non scompaiono solo perché le riconosci. Ma puoi imparare a gestirle.
Perché, alla fine, nessuna preoccupazione ha mai fermato una tragedia. Nessuno ha evitato il Titanic rimuginando. E nessuno ha mai fermato la pioggia guardando il cielo con ansia.
Tu non sei la tua ansia. Hai il potere di osservarla senza farti travolgere, di distinguere il presente dal passato, di scegliere quali pensieri meritano la tua attenzione.
Respira. Guarda la tua paura per quello che è: un pensiero, non un destino.