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Non hai bisogno di essere eccezionale
Qualcuno doveva dirtelo...
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Ma ora iniziamo.
È una domanda piuttosto semplice, ma arriva subito al cuore del nostro benessere e del nostro rapporto con l’intimità: sei sereno rispetto al tuo status, oppure sei un iper-performante in perenne corsa o qualcuno che si sente pieno di vergogna per la propria cosiddetta “mediocrità”?
Circa il 20% di noi si ritrova in questo secondo gruppo: un gruppo inquieto, che oscilla tra l’idea che niente sarà mai abbastanza e la convinzione di essere un fallimento, semplicemente perché non è riuscito a battere probabilità statisticamente assurde.
A scuola, magari, studiavamo tantissimo. Non perché amassimo le materie in sé, ma perché, in fondo, sentivamo che dovevamo primeggiare. Dovevamo arrivare tra i primi, ogni sera a ripassare, ogni voto diventava una prova del nostro valore. Forse oggi non siamo persone eccezionali, ma raramente ci sentiamo liberi dalla pressione di doverlo diventare.
Da bambini, la storia potrebbe essere andata così: un genitore aveva bisogno che noi fossimo speciali – intelligenti, popolari, brillanti – non per il nostro bene, ma per colmare un proprio vuoto, una propria fragilità, un dolore interno mai elaborato. Quel genitore non riusciva a valorizzarsi, era depresso, magari viveva una relazione infelice e carica di violenza o silenzi.
E noi, da piccoli, abbiamo assorbito inconsciamente una missione: dovevamo essere la cura. Dovevamo sistemare tutto.
È strano guardare al successo sotto questa lente. Ma a volte, il successo – come lo intende la società – non è altro che una forma di malattia mentale ben mascherata. Coloro che costruiscono grattacieli, scrivono bestseller, diventano soci di studio legale, recitano davanti a milioni di persone… potrebbero essere, in realtà, quelli più feriti.
Al contrario, chi riesce a vivere una vita ordinaria senza cadere nel panico o nel bisogno di prestazione, chi riesce ad accettarsi nella propria semplicità, potrebbe essere un campione silenzioso dell’equilibrio interiore. Il mondo si divide tra i privilegiati che possono essere normali e i dannati che si sentono obbligati a essere straordinari. Il miglior esito possibile per questi ultimi – paradossalmente – potrebbe essere un crollo, un esaurimento, una crisi.
Dopo anni di successi e prestazioni, non riescono più ad alzarsi dal letto, cadono in una profonda depressione, sviluppano ansia sociale paralizzante, smettono di mangiare, sabotano il proprio ritmo di vita. Un breakdown non è un errore o una follia. È un tentativo del nostro io più profondo di farci guarire davvero, forzando un cambiamento, una crescita, una nuova comprensione di sé.
La crisi è, in fondo, un grido disperato e intelligente di aiuto, che distrugge tutto ciò che era stato costruito su basi malsane, per lasciare spazio a una forma più autentica e sostenibile di esistenza. Stiamo cercando – nel dolore – di liberarci dalle aspettative altrui, da una società spesso più malata di noi. Una società che non sa immaginare la bellezza della normalità e che equipara la calma al fallimento.
Ci raccontano che una vita quieta è una sconfitta, che solo chi è al centro dell’attenzione, che viaggia in prima classe, che lavora fino a mezzanotte ed è perennemente richiesto, vale davvero qualcosa. Ma non è così.
Ricorda che mancano 7 giorni prima che chiuda.
Pillole chiave della riflessione di oggi:
Il bisogno di sentirsi eccezionali nasce spesso da dinamiche familiari non viste.
La società premia l’eccesso, ma spesso a scapito del benessere.
Molti “successi” sono in realtà strategie di sopravvivenza emotiva.
Una crisi può essere un atto di guarigione, non una sconfitta.
La normalità non è un fallimento, ma un equilibrio da riconquistare..
Tecnica utile: Diario dell’ordinario (5 minuti)
Obiettivo: ricentrarti sul valore delle cose semplici e liberarti dalla pressione di dover “brillare”.
Scrivi ogni giorno 3 momenti “ordinari” che hai vissuto (es. hai cucinato, hai fatto una passeggiata, hai parlato con qualcuno).
Accanto a ognuno, annota: “Questo vale.”
A fine settimana, rileggi l’elenco.
Nota come la tua vita è piena di presenza, non di prestazione.
Questo esercizio allena il cervello a riconoscere valore anche dove non c’è spettacolo.
Domanda su cui riflettere oggi:
Cosa stai cercando di dimostrare… e a chi?
La mia semplicità non ha bisogno di essere giustificata. Sono già abbastanza, così come sono.
*Questo contenuto fa parte della piattaforma Thatsos, il Duolingo per la tua salute mentale, nato per aiutarti a migliorare la salute mentale attraverso lo sviluppo dell’intelligenza emotiva. Dentro la piattaforma troverai percorsi per esplorare le tue emozioni dall’ansia alla rabbia, tecniche per gestirle, articoli che ti faranno riflettere e un diario dove scrivere liberamente ciò che provi e come ti senti.