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Ritrova te stesso #5
C’è una differenza netta tra il “ruolo” con cui attraversi le giornate e la trama più profonda che ti definisce. Il ruolo si adatta, compiace, resiste; la trama tiene insieme ciò che per te ha senso. Quando la pressione cresce, i ruoli tendono a espandersi fino a occupare tutto lo spazio; la trama, se non la custodisci, sbiadisce. Ritrovarti significa ristabilire le proporzioni: riportare la tua storia, i tuoi valori, i tuoi ritmi e le tue relazioni dal fondo alla prima linea.
La psicologia lo descrive in modi diversi, ma il punto è uno. Carl Rogers parlava di congruenza: allineare ciò che senti, pensi e fai, invece di vivere nell’attrito tra “ciò che sono” e “ciò che dovrei essere”. Donald Winnicott distingueva tra vero Sé e falso Sé: il primo è vivo, spontaneo, capace di gioco; il secondo è una corazza ben educata che funziona, ma non respira. Dan McAdams ricorda che noi siamo le storie che ci raccontiamo: quando la narrazione si restringe attorno al dovere, perdiamo la continuità con noi stessi. Queste non sono etichette da manuale; sono mappe per capire perché, in certi periodi, ti sei sentito efficiente e vuoto allo stesso tempo.
Il modo più onesto per tornare a te è semplice e radicale: riconoscere le invarianti della tua persona. Non i dettagli accessori, ma quei principi che, quando sono presenti, ti fanno sentire intero. Per molti sono quattro cardini:
Verità: poter dire le cose come stanno, almeno a te stesso.
Energia: attività che, anche se faticose, ti restituiscono più di quanto prendono.
Confini: la libertà di dire sì o no senza doversi giustificare continuamente.
Gioco: curiosità, creatività, piccoli momenti in cui l’utilità non è l’unico criterio.
Quando questi cardini sono attivi, il resto si organizza. Quando mancano, tutto si incastra ma nulla tiene. La Self-Determination Theory (Deci e Ryan) lo traduce così: autonomia, competenza, relazione. Non sono “bonus”: sono bisogni psicologici di base. Se li sacrifichi troppo a lungo, il sistema va in protezione: ansia, cinismo, ritiro, o la sensazione di vivere “a volume basso”.
Ritrovarti non chiede gesti eroici; chiede riconnessioni precise. Pensa ai periodi in cui ti sentivi in equilibrio: non idealizzarli, sezionali. Che cosa c’era davvero in gioco? Spesso emergono elementi concreti: una quota di tempo non frammentata, una persona con cui non recitare, un lavoro fatto con cura più che con fretta, movimento regolare, un interesse coltivato senza utilitarismo, un confine rispettato. Sono condizioni riproducibili, magari in scala ridotta, nel presente. Il passato non va copiato: va distillato.
Un errore comune è scambiare la nostalgia per riconnessione. La nostalgia pretende di rimettere in scena tutto com’era; la riconnessione salva la sostanza e le trova una forma nuova. Se allora la tua creatività era un atelier, oggi può essere un’ora alla settimana di lavoro manuale. Se allora la presenza nasceva da lunghe camminate, oggi può essere una passeggiata breve ma non negoziabile. Se allora la tua voce era rispettata perché cambiavi contesto, oggi può essere rispettata perché cambi confini nello stesso contesto. Il potere sta nella continuità minima ma fedele.
C’è poi il tema delle credenze implicite: frasi sedimentate che guidano in silenzio (“valgo se reggo tutto”, “prima gli altri, poi io”, “chiedere è debolezza”). Non le hai scelte; le hai assorbite per sopravvivere. Funzionano finché il costo è sostenibile. Dopo, diventano gabbie. Il lavoro terapeutico non è demolirle di colpo (sarebbe un altro atto di forza bruta), ma rinegoziarle. Una sostituzione possibile: “valgo quando sono integro”, “posso essere di aiuto senza perdermi”, “chiedere è un modo adulto di stare in relazione”. Le parole non sono cosmetica: legittimano nuovi comportamenti.
Ritrovarti significa anche restituire posto alle parti che hai spinto ai margini. La parte curiosa, la parte lenta, la parte che ha bisogno di silenzio, la parte che ama l’efficienza ma non l’urgenza, la parte affettiva che non vuole giustificarsi per avere bisogno. Il modello dei “parts” (scuole contemporanee come IFS) suggerisce che non devi eleggere un sovrano e zittire il resto; devi creare una regia interna capace di ascoltare e coordinare. Quando una parte è stata ignorata a lungo, non chiede una rivoluzione: chiede un segnale affidabile che da oggi avrà spazio.
Un criterio pratico per capire se stai tornando a te è il “test del dopo”: come stai subito dopo un’azione, un incontro, un impegno. Se il dopo è più largo del prima — hai più respiro, più lucidità, più contatto — sei in rotta; se il dopo è più stretto — irritazione, ruminazione, esaurimento — stai barattando te con un risultato. Non serve una scienza esatta: serve onestà percettiva. È un barometro personale, infalsificabile.
Attenzione a una trappola: confondere il sacrificio infinito con la dedizione. La dedizione è faticosa ma generativa: crea senso, relazioni solide, risultati con dignità. Il sacrificio infinito è erosivo: sotto promette appartenenza, sopra consegna svalutazione. La linea che li separa è sottile e si riconosce dal corpo e dal linguaggio interno: nella dedizione, anche stanco, ti parli con rispetto; nel sacrificio, ti spingi a forza e ti tratti come materiale di consumo.
Un’altra bussola utile è la coerenza tra micro-scelte e macro-valori. Se dici che la salute conta ma non le lasci un minuto intero, non conta; se dici che la relazione è importante ma la incontri sempre “tra una cosa e l’altra”, non è un legame: è un interstizio. Ritrovarti vuol dire riallineare il calendario con la gerarchia di ciò che per te è significativo, anche a costo di scontentare aspettative esterne. La ricerca sull’autenticità mostra che questa coerenza riduce il conflitto interno e aumenta la resilienza: meno energia spesa a recitare, più energia disponibile a vivere.
Potresti sentire resistenze: “non ho tempo”, “non posso permettermelo”, “ormai”. Sono spesso argomenti dell’abitudine, non della realtà. La domanda corretta diventa: qual è la forma minima non negoziabile con cui posso riportare oggi una mia invariante? Non l’ora ideale, ma i dieci minuti reali. Non la settimana perfetta, ma il confine detto una volta in più. Non la carriera riscritta, ma la qualità con cui svolgo un compito oggi. Le trasformazioni robuste nascono da unità di misura piccole e ripetute.
Ritrovarti, in fondo, è un atto politico nel senso più alto: decidi chi ha voce sulla tua vita. Se è solo il rumore, continuerai a funzionare bene e a perderti meglio. Se torni a dare voce alla trama — verità, energia, confini, gioco; autonomia, competenza, relazione; chiamala come vuoi — la scena cambia senza che servano effetti speciali. Non diventi qualcun altro: smetti di essere una versione contratta di te.
Quando, tra qualche giorno, riguarderai le scelte fatte, non misurarle dalla grandezza, ma dalla fedeltà. Una scelta piccola che onora la tua trama vale più di una grande che ti sposta lontano. È così che la bussola si riallinea: con atti brevi, chiari, reiterati. Il risultato non è un “te” perfetto, è un “te” integro, capace di tenere insieme forza e misura. È già abbastanza per ricominciare a sentirti a casa nella tua vita.
Tecnica del giorno:
Prima di tutto, se ieri non hai ancora fatto il Test della Personalità, è importante recuperarlo adesso 👉 [Fallo qui].
Questo passaggio è fondamentale: conoscere la propria struttura di personalità aiuta a capire perché reagisci come reagisci, quali meccanismi usi per proteggerti e quali tratti di te emergono nei momenti di stress o di cambiamento.
Ritrovare se stessi non è possibile senza sapere chi siamo davvero: il test ti offre una mappa per interpretare ciò che provi, riconoscere i tuoi punti di forza e comprendere quali parti hai forse messo da parte per andare avanti. È uno strumento che porta chiarezza dove oggi c’è solo confusione.
Dopo averlo fatto avrai anche una guida gratuita per approfondire il risultato.
Una volta fatto il test prendi un foglio e dividilo in due parti:
A sinistra scrivi alcuni momenti della tua vita in cui ti sei sentito bene con te stesso: presente, coerente, vivo. Non devono essere eventi straordinari; anche ricordi semplici vanno bene (un lavoro fatto con passione, una giornata con chi ti capiva, un hobby che ti nutriva).
A destra annota gli elementi chiave che rendevano quei momenti speciali: valori rispettati, sensazioni, atteggiamenti, confini, ritmi, relazioni, attività che ti facevano sentire “tu”.
Quando hai finito, guarda la colonna di destra: quella è la tua mappa di ritorno.
Sono i fattori che nutrono la tua identità e che, se oggi mancano, puoi provare a reinserire per ritrovarti.
Domanda su cui riflettere oggi:
Guardando i momenti in cui ti sei sentito davvero te stesso, quali elementi riconosci come indispensabili per sentirti vivo e in equilibrio oggi?
Quali di questi potresti iniziare a reintrodurre, anche solo in piccola parte, nella tua vita attuale?
E se vuoi migliorare la tua salute mentale e lavorare sul tuo benessere puoi farlo qui.
Domani affronteremo un altro step insieme
Domani entreremo in una fase di costruzione concreta: creare nuove basi per il tuo equilibrio.
Dopo aver riscoperto chi sei davvero e quali elementi ti fanno stare bene, sarà il momento di trasformare questa consapevolezza in azioni reali.
Non parleremo di grandi rivoluzioni, ma di piccoli passi solidi: scelte quotidiane che proteggono il tuo spazio interiore e ti permettono di non perdere ciò che stai ritrovando.
Ti guideremo a individuare una sola abitudine concreta che possa sostenere la tua calma e difendere il tempo per te, anche nelle giornate piene.
Perché ogni cambiamento duraturo nasce da gesti semplici, ma coerenti, che diventano nuovi pilastri su cui appoggiarti.